A cura di Giuseppe Ventesimo.
Dottore Magistrale in Relazioni Internazionali e Studi Europei.
Ph. Riflessione Cybermetrica a cura di Stazione di Ostuni, Binario 1
Il salario minimo, secondo la definizione che è possibile rinvenire e reperire nei documenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), rappresenta la retribuzione minima che dovrebbe essere garantita ai lavoratori per una determinata quantità di lavoro.
Un fondamento costituzionale di una legge sul salario minimo può essere ritrovato nell’ art. 36 della Costituzione, che sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata, il quale recita: “Ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro e ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
L’Italia, secondo i dati OCSE, è l’unico Paese dell’UE che ha registrato una diminuzione salariale media negli ultimi 30 anni del -2,9%.
I salari in Italia non sono cresciuti per motivi che hanno determinato performance negative sulla produttività, che nel nostro Paese non cresce. Tra queste cause vi è la crescita della precarietà, dovuta a riforme del mercato del lavoro che hanno portato all’eccessiva flessibilità e al ricorso frequente ai contratti a tempo determinato, e anche l’aumento di servizi a bassa intensità e basso contenuto tecnologico, il c.d. investimento labour intensive. Le imprese innovano poco e rimangono sul mercato comprimendo i salari. Infatti l’Italia ha registrato un tasso di crescita del PIL molto lento rispetto agli altri Paesi UE.
Tutto ciò sottolinea l’aumento e la diffusione del fenomeno del “working poor”, coloro che, pur lavorando, hanno una retribuzione molto bassa, che non permette loro di arrivare a fine mese e che non consente loro di superare la soglia di povertà e che non riescono a tenere il passo con il costo della vita. Le categorie colpite maggiormente da questo fenomeno sono i giovani e le donne. Infatti in Italia abbiamo una percentuale di lavoratori poveri molto alta, che ammonta al 12%, e moltissimi sono i lavoratori a rischio povertà, con una percentuale del 32%.
Secondo i dati INPS, il 43,9% dei lavoratori nel settore dell’alloggio e della ristorazione percepisce una retribuzione al di sotto della soglia dei 9 euro l’ora, il 46,6% dei lavoratori nel settore dei servizi alle imprese, noleggio e agenzie di viaggio il 24,5% dei lavoratori nell’istruzione, sanità e assistenza sociale.
L’introduzione di una legge sul salario minimo ovvierebbe a queste pessime condizioni di lavorano, che si trovano a vivere e a subire molti lavoratori, tra cui molti giovani e molte donne. Secondo i dati INPS, Il 26% delle lavoratrici donne e il 38% dei giovani percepiscono un salario orario inferiore ai 9 euro, Nell’UE la legge sul salario minimo è in vigore in 22 Stati membri su 27. In Europa abbiamo due gruppi di Paesi: da un lato Paesi con importi superiori a 10-12 euro l’ora (Francia, Paesi Bassi, Irlanda, Belgio, Germania, Lussemburgo); dall’altro Paesi con importi molto bassi vicini o inferiori a 5 euro l’ora come la Grecia e i Paesi dell’Est Europeo. L’Italia, insieme ai Paesi scandinavi e all’Austria, ancora non è provvista di una legge sul salario minimo, e le retribuzioni minime sono regolate e gestite dalla contrattazione collettiva.
La direttiva UE sul salario minimo del 2022 fissa ed individua due parametri di riferimento per la fissazione del salario minimo, vale a dire il 60% del salario mediano e il 50% del salario medio. In Italia, secondo i dati INPS, il 50% dei salari orari medi ammonta a 10,59 Euro, mentre il 60% dei salari mediani è di 7,65 euro e tale intervallo tra 7,65 e 10,59 è coerente con le proposte valori del salario minimo legale in Italia di 9 euro l’ora.
Anche se storicamente nel nostro Paese l’esigenza di un salario minimo legale è stata trascurata per via della forte presenza sindacale e della contrattazione collettiva, nell’ultimo ventennio, non solo si è indebolita la funzione “anticoncorrenziale” della contrattazione, ma è aumentata anche la contrattazione pirata, stipulata da sindacati non maggiormente rappresentativi, foriera di dumping sociale e che ha contribuito ad aumentare l’incidenza di lavoratori a basso salario.
L’introduzione del salario minimo legale, secondo un filone di ricerca economica keynesiana, ha ottime e positive conseguenze nel contesto macroeconomico. Infatti salari più alti potrebbero aumentare la produttività perché agirebbero come stimolo per investimenti capital intensive; innescherebbe le leve della crescita attraverso l’espansione della domanda aggregata; aumenterebbero l’impegno e l’efficienza dei lavoratori sul luogo di lavoro, riducendo il rischio di “moral hazard”, in quanto secondo la teoria dei salari di efficienza, i bassi salari sono spesso accompagnati da insicurezza e scarsi incentivi per i dipendenti. Sempre secondo la letteratura economica, l’aumento del salario minimo aumenta del 10% la probabilità di un bambino di essere in uno stato di salute eccellente e diminuisce del 25-40% la probabilità di assentarsi per problemi di salute.
Come dimostrano i dati e le evidenze empiriche, il salario minimo legale ha contribuito ad aumentare i salari, l’occupazione, a ridurre la povertà e le disuguaglianze sociali e ha migliorato la finanza pubblica dei Paesi che lo hanno introdotto. In Germania, dove il salario minimo legale è di 12 euro l’ora, i salari sono aumentati del 33,7% e ha rafforzato anche le misure di protezione sociale.
Secondo gli studi dell’INPS, l’introduzione in Italia del salario minimo legale di 9 euro lordi l’ora, porterebbe a un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, a una riduzione delle disuguaglianze e della povertà, a una riduzione del gap di genere, perché ne beneficerebbero maggiormente donne e giovani, porterebbe ad un aumento dell’offerta di lavoro, una maggiore allocazione degli investimenti, il quale farebbe aumentare la produttività, porterebbe a un maggiore gettito fiscale per lo Stato e aumenterebbe la qualità della vita e sposterebbe in aggregato sulla quota lavoro circa 8 miliardi di euro.
La soglia dei 9 euro l’ora entra in gioco solo quando il salario minimo è troppo basso (nel settore del commercio, dei servizi, come ad esempio quello della vigilanza supera da poco i 5 euro), tale da non garantire una vita dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia.
Anche l’economista Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia, al Forum di Cernobbio ha asserito che il salario minimo legale è positivo per l’economia e la società, soprattutto in una fase di grandissime disuguaglianze, come quella odierna.
Le condizioni produttive e sociali sono cambiate, i sindacati italiani non hanno più la stessa forza di prima e infatti quello che serve è un modello di “ingegneria sociale” da sviluppare, dove la garanzia dei diritti sociali fondamentali devono essere salvaguardate affinché si generi un benessere sociale generale e la nostra Costituzione offre molti spunti e modelli da sviluppare. Infatti l’Italia dovrebbe riflettere sull’opportunità di seguire le strade degli altri Paesi europei, prendendo come riferimento le norme sulle misure di protezione sociale previste da Convenzioni e trattati di enti internazionali.
Il salario minimo legale rafforza la contrattazione collettiva, non è un criterio sostitutivo ma aggiuntivo e va ad attuare l’art.36 della Costituzione ed è un’esigenza sentita dalla popolazione e significa incidere sul lavoro di qualità, sulla produttività, combattere la denatalità, contribuendo a far stare meglio il proprio Paese.
Il salario minimo legale è una misura importante per arginare il lavoro povero ed è un primo tassello di una serie di riforme strutturali che andrebbero fatte per cambiare il mercato del lavoro. Infatti dovrà essere accompagnato da una riforma dei contratti, da politiche industriali intelligenti e lungimiranti, che mirino alla transizione ecologica e digitale.